“Specialmente la paura è uno stato che annulla gli uomini. Se ciò è vero, vale il vivificante contrario per la speranza, intesa in senso soggettivo e – più che mai – oggettivo. E quand'anche poco importi se venga a costare più o meno costruire dei meri castelli in aria, da cui poi risultino i sogni ottativi, adoperati in modo esclusivamente disonesto, la speranza, con il progetto e il raccordo con il 'possibile a scadenza', è la realtà più forte e migliore che si dia” (Ernst Bloch)
Dopo questa breve premessa "filosofica" mi pare interessante riportare un altro ampio stralcio:
"In un passato relativamente recente, Milano e più in generale la Lombardia si distinguevano per la propria capacità di produrre innovazione culturale (si pensi per esempio ai campi dell’arte contemporanea, della moda e del design). Negli ultimi decenni sono venute meno le condizioni che hanno favorito la nascita e l’affermazione dell’eccellenza creativa lombarda e si assiste oggi alla proliferazione di singole iniziative pubbliche di grande richiamo che tuttavia non rappresentano il frutto di adeguati percorsi di ricerca, formazione, sperimentazione e produzione artistica e culturale.
Si ritiene che questa situazione possa essere ricondotta in particolare alla presenza di:
1) un sistema formativo che, specie se confrontato con le esperienze internazionali che tendono a trasmettere conoscenze e competenze in modo innovativo, non sembra in grado di educare alla creatività né di intercettare e valorizzare le eccellenze in campo artistico e culturale;
2) un contesto logistico sfavorevole, frutto di una carente programmazione nella destinazione degli spazi. In Lombardia, i rari esempi di luoghi finalizzati alla promozione della contemporaneità e dei nuovi linguaggi faticano a competere con altre destinazioni d’uso in grado di garantire rendimenti nettamente superiori;
3) un tessuto socio-economico estremamente condizionato da fattori economico-finanziari che tende a reclutare e assorbire i migliori talenti artistici a fini quasi esclusivamente “commerciali”, deprimendo le opportunità di emersione delle forme più spontanee e originali di espressione e produzione creativa;
4) un contesto socio-politico che penalizza le generazioni più giovani rendendo loro più difficile l’accesso ai circuiti produttivi e più rara la possibilità di organizzare autonomamente attività di ricerca e sperimentazione artistica."
Molto interessante, vero? Chi dice queste cose? Si tratta forse di un documento o di una parte del programma di Sinistra Ecologia Libertà, o della coalizione di centro-sinistra?
Niente di tutto questo.
Si tratta della premessa ("il problema") che Fondazione Cariplo pone a fondamento motivazionale del suo bando 2011 aperto (ossia senza scadenza) dal titolo "Valorizzare la creatività giovanile in campo artistico e culturale".
Significativo, vero? Significativo che (ma d'altra gli operatori culturali si sono ormai abituati a constatarlo da anni) una fondazione bancaria scavalchi e prevenga in forma così chiara e lungimirante la disattenta considerazione della politica per individuare i nodi (sociali, economici e culturali) della contemporaneità e, coerentemente, porre a disposizione nei limiti del possibile parte degli strumenti finanziari che possono concorrere a scioglierne una parte.
Prosegue Fondazione Cariplo: "Il bando non è finalizzato alla promozione delle sole arti dal vivo (musica, teatro, danza, ecc.), ma mirato al sostegno di tutte le forme di espressione artistica e culturale che:
1. si connotino per un approccio di tipo creativo, inteso soprattutto come orientamento alla ricerca artistica e culturale, alla sperimentazione e all’uso di nuovi linguaggi;
2. siano gestite dai giovani o ne garantiscano un adeguato coinvolgimento sia nella fase organizzativa sia in quella di realizzazione".
Straordinario. Un bando aperto, che consente tempi di maturazione ed approfondimento e rigorizzazione delle progettualità. Nessun aggancio a prospettive economicistiche (nel senso deteriore del termine) ma una spinta alla ricerca e alla sperimentazione, ai nuovi linguaggi, al fronte della contemporaneità. Non solo: viene privilegiata, al punto 2., l'autonomia realizzativa e gestionale da parte dei giovani, senza tutele più o meno paternalistiche o "di controllo" adulto (e adulterato). Trovate i vostri percorsi e noi vi daremo - per quanto possibile - gli strumenti per sostenerli...
Ancora una volta non voglio proporre risposte ma segnalare possibili percorsi di approfondimento, evidenziando come ancora una volta il problema principale del tutto evidentemente non siano le risorse ma l'attenzione, la considerazione, le scelte.
E allora mi chiedo: di fronte alla radicale complessità, motivazionale ed esistenziale, che l’attuale contesto socio-economico pone all’orizzonte del futuro dei giovani; di fronte ad un orizzonte incerto e insieme apparentemente (e paradossalmente) obbligato, caratterizzato dalla tendenziale e progressiva scomparsa di riferimenti stabili e dalla conseguente necessità di una flessibilità che rischia, tuttavia, di configurarsi come permanente precarietà; di fronte ad un orizzonte, dunque, la cui posta può essere letta, da un lato, come angusta chiusura (anche motivazionale) ad un futuro arido, senza prospettive, privo di voli ideali ma al contempo, e a contraltare, come un orizzonte frangibile che – forse proprio nella creatività e nella sua capacità dirompente – trova gli strumenti per un nuovo possibile sogno ad occhi aperti.
Di fronte a tutto questo torna di straordinaria attualità la splendida citazione di Ernst Bloch posta ad introduzione di questo testo: se la posta si gioca “tra speranza e paura” è allora forse possibile – un “possibile a scadenza” declinato con il rigore del “progetto” - tentare di aprire l’orizzonte, restituire al gioco dei bisogni, delle attitudini, degli interessi culturali, delle motivazioni individuali e della loro realizzazione una possibile visione (e costruzione) del futuro.
Se questo futuro – tuttavia – si colloca anzitutto nell’universo del lavoro, mi pare allora naturale connettere questa visione concretamente utopica al tentativo di capire se sia realmente possibile, anche e soprattutto sulla base di scelte anche amministrative, individuare percorsi formativi e produttivi che consentano di intravedere gli estremi di un nuovo patto tra creatività e lavoro. La creatività e le sue realizzazioni, cioè – oltre l’immagine “romantica” dell’artista tutto “genio e sregolatezza” – come comparti professionali, e dunque anche economici: in una parola, mestieri.
La possibilità che la creatività giovanile, l'arte indipendente (cinema, musica, teatro, scultura,...) si concretizzi in concreta prospettiva di vita, in un possibile centro stabile di lavoro riconosciuto, sostenuto e partecipato dal Comune. Da qui, tra l'altro, la bella ed interessantissima convergenza tra quanto indicato da Fondazione Cariplo e ripreso qui e quanto proposto da Angelo Zappoli a proposito del Castello Manfredi come possibile incubatore per una realtà di "lavoro comune" giovanile. C'è lo spazio possibile; ci sono le possibili risorse.
Mancano ancora, ma ci saranno in futuro?, le volontà politiche.
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