giovedì 5 maggio 2011

Un'inspiegabile assenza - Il Teatro Ragazzi

Se in un articolo di alcuni giorni fa, Piccoli concittadini invisibili, esponevo le ragioni fondative di un'attenzione privilegiata all'infanzia in materia di politica culturale, oggi mi piace l'idea di porre un problema molto semplice e lineare. 
Non si tratta, in questo caso, di un programma di ricerca di respiro particolarmente complesso ma, molto più banalmente e linearmente, della segnalazione di un'assenza. Un'assenza di fatto del tutto inspiegabile, quantomeno sul piano della sostenibilità economica, della funzione e del servizio pubblico, del senso culturale.

In breve: la città di Varese - se si eccettua uno sporadico esperimento biennale effettuato presso l'Auditorium della Scuola Media Don Rimoldi di San Fermo sul finire degli anni '90 e le coraggiose e lodevolissime rassegne per famiglie organizzate negli ultimi anni al Cinema Teatro Nuovo dalla Compagnia Progetto Zattera – non ha mai organizzato in forma sistematica stagioni teatrali, scolastiche (in matinée) e per famiglie (domenicali pomeridiane), rivolte all'infanzia e alla gioventù. 

E questo, ripeto, è davvero inspiegabile: il teatro ragazzi si caratterizza dalla sua nascita - un dato che è insieme la sua forza e paradossalmente la sua debolezza - per la sua quasi incredibile e strutturale sostenibilità dal punto di vista dell'equilibrio di bilancio. Un dato ampiamente corroborato da dati storici ed economici, dalla crescita del settore in questi anni, dal fatto che il teatro per ragazzi rappresenta uno tra i comparti più sani del sistema imprenditoriale dello spettacolo sia dal punto di vista del numero di recite e giornate lavorative (e quindi del fatturato delle imprese e dei loro standards occupazionali) sia dal punto di vista delle presenze certificate dalla SIAE al botteghino. Un'economia sana in entrata e in uscita.

Cachet bassi, a volte di sussistenza, che consentono di praticare (anche per ragioni culturali e politiche) prezzi al pubblico calmieratissimi. Un'organizzazione che, rivolgendosi direttamente alle scuole, consente di contare su numeri aggregati straordinariamente significativi e tendenzialmente prossimi al pareggio tra entrate e uscite. La capacità di creare relazione e reale formazione, attraverso il tradizionale incontro di approfondimento con i ragazzi che caratterizza la conclusione dello spettacolo. Persino la possibilità - nelle realtà in cui vi è più forte relazione concertativa tra l'universo scolastico e la direzione artistica - di concordare preliminarmente con gli insegnanti gli spettacoli ospitati nelle rassegne, così da accertare già a valle della programmazione l'esistenza di un interesse, di una domanda, di tematiche condivise (e quindi, ancora una volta, un equilibrio che è al contempo economico, artistico e di servizio).
  
Questo valga, a maggior ragione a Varese, in un contesto cittadino che potrebbe aspirare "naturalmente" al ruolo di punto attrattore per un vastissimo bacino territoriale, denso di scuole di ogni ordine e grado. 

Proprio per questo – anche prescindendo dalle valutazioni di carattere strettamente culturale o "filosofico" – il quadro varesino appare paradossale. Varese spicca di fatto come l'unico capoluogo lombardo che non abbia gettato uno sguardo di sistema sull'attività teatrale rivolta all'infanzia. Di sistema: con rassegne che - come la Stagione Teatrale e la Stagione Musicale - siano stabili, certe, ricorrenti, attese. Non ri-negoziate di anno in anno - come accade per la rassegna domenicale della Zattera - e di anno in anno, ovviamente, segnate e ridimensionate dalla progressiva emorragia delle risorse pubbliche.

E' così difficile? Non credo, e alla fine di questo pezzo - come appendice - "darò alcuni numeri" ad evidenziarne la strutturale sostenibilità. 

Eppure il teatro per bambini viene via via declinato nei termini di sporadiche attività a cavallo tra l'animazione e l'intrattenimento fine a se stesso, in occasione delle festività o di qualche ricorrenza che consenta di coniugare commercio e ludus. Spesso, nel contempo, ricorrendo a professionalità quantomeno discutibili (ma a basso costo, quando non gratuite), nella supposizione – francamente avvilente – che all'infanzia in campo teatrale si possa propinare qualsiasi cosa, senza alcun risvolto educativo, formativo, men che meno culturale.

E', credo, una questione che ha profondamente a che vedere con visioni del mondo e della cultura, con una sostanziale svalutazione del carattere potenzialmente strategico dell'attività di spettacolo rivolta all'infanzia e alla gioventù. Molto semplicemente: il teatro ragazzi non interessa. Non è compreso. Non viene considerato attività culturale. Viene come al solito banalizzato ed appiattito sulla dimensione della formazione dei pubblici adulti di domani o assimilato tout court alle attività di svago. O interessa solo se, e in quanto, può rappresentare una risorsa spendibile in termini di immagine, di rilancio turistico, sostanzialmente di marketing o "spaccio" della cultura.  

Ma stiamo parlando dei bambini. In città che non pensano ai loro bambini - e non sono progettate, né pensate, in funzione del futuro - dalle famiglie ma anche dalla scuola emerge, con sempre maggior frequenza, una domanda di possibilità di svago, crescita, cultura, ricreazione e socializzazione per figli al contrario  tendenzialmente "monadici", isolati nel gioco e nell'apprendimento, silenziosi, straordinariamente "tecnologici" ma votati ad una "navigazione" esclusivamente telematica.

Ora: è' del tutto evidente che il teatro non è, né può essere, la panacea o l'antidoto di processi che paiono davvero investire l'intero dominio dello scambio e della vita sociale. Il teatro, in particolare il teatro per l'infanzia e la gioventù, è forse poca cosa. Anche in relazione ai bisogni dell'infanzia.  

E' tuttavia – direbbe Raymond Carver – "una cosa piccola, ma buona".

Perché il teatro e le sue forme possono aspirare al piccolo ma insostituibile ruolo di veicolo di briciole di cultura, comunicazione e relazione capaci forse di innescare lievi, ma fondamentali, processi in controtendenza. Il teatro ragazzi - quello serio, professionale, quello che da quarant'anni è compagno di strada di bambini, genitori ed insegnanti nella lunga strada verso la crescita - afferma costitutivamente il senso di un processo di relazione con un pubblico che, molto più di quanto non accada nel "teatro adulti", retroagisce con quanto accade "là sopra", ne modifica anche profondamente la storia e gli eventi; un teatro di evocazione, implicita nella logica dello spazio scenico e radicalmente negli stessi mezzi di produzione che caratterizzano il settore: un'evocazione che richiede la partecipazione del pubblico, l'attenzione attiva alla "creazione" di eventi, oggetti e dinamiche invisibili ma presenti in scena, un invito all'immaginazione.

E nelle rassegne, nell'attività seminariale e laboratoriale, nelle funzioni di servizio e consulenza al mondo della scuola, nel ruolo socializzante che ne caratterizza la storia è possibile sostenere che il teatro ragazzi assolve di fatto da quarant'anni una funzione pubblica, ponendosi come portatore di fattori di crescita, di cultura, di civiltà e configurandosi come momento importante della ricchezza formativa di cui il mondo dell'educazione deve essere portatore.

APPENDICE: dare i numeri, entrare nel concreto

Una buona rassegna di Teatro Ragazzi per le scuole - che possa aspirare ad essere punto attrattore per la partecipazione di un pubblico non solo cittadino - potrebbe prevedere l'ospitalità, diciamo, di circa 10 spettacoli rivolti alle scuole materne, elementari e medie (mi si perdoni la terminologia "antica", ma ci intendiamo).
Esagerando - e sapendo che il cachet medio attuale di uno spettacolo di Teatro Ragazzi professionale oscilla tra i 1.200 e i 2.000 € - il costo di una rassegna di queste dimensioni si può attestare su una spesa massimale di 20.000 €, comprensiva dei costi organizzativi e promozionali (che, in caso di cartelloni rivolti alle scuole, sono prossimi allo zero).

Supponendo una credibilissima presenza media di c.ca 350 bambini a spettacolo che paghino un biglietto d'ingresso calmieratissimo pari a 5 €, la rassegna può aspirare ad un volume in entrata di c.ca 17.500 €. Con oneri SIAE proporzionali che si aggirano intorno al 13,5% - cioè c.ca 2.350 € - l'intera iniziativa si assesta su un disavanzo tendenziale pari a 4.850 €. Per dieci spettacoli e 3.500 presenze.

Un investimento pari a 1,38 € a bambino in un progetto che arricchirebbe la città, la completerebbe e - probabilmente - potrebbe, se solo lo si volesse, porre in circolo risorse provenienti da assessorati diversi: dalla Cultura, ma anche dalla Pubblica Istruzione. Ma anche, infine, dall'Amministrazione Provinciale

Come si vede, ancora una volta il problema sono solo le volontà politiche, non la mancanza di risorse.

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