domenica 17 aprile 2011

Lettera a Varesenews: I "danni" di quella scuola che aiuta a pensare

Caro Direttore,

mi sono diplomato nel 1981. Maturità classica al "Cairoli" di Varese. 

Studente quantomeno "difficile" - anche se non disastroso - per cinque anni. "Simpatico, intelligente... ma che lazzarone!", era la litania dei miei insegnanti. Uno scavezzacollo: chi mi conosce ora stenta a crederci. 
Eppure io preferivo suonare la chitarra e, soprattutto, fare politica, tanta politica, quasi a tempo pieno. Erano gli ultimi anni di "Lotta Continua" (la mitica, angusta, sede di Via Speri della Chiesa 18). Poi, forse con più consapevolezza, fu la volta di "Democrazia Proletaria".

I miei maestri di quegli anni si chiamavano Bruno Mainetti, Ebe Comotti, Bruna Bianchi. E poi, ancora, la Prof.ssa Solenghi che - senza che neppure io lo sapessi - mi ha fatto amare la biologia. A tutti loro - e alla mia famiglia - devo molto, moltissimo di ciò che sono ora. Ma non è loro che, oggi, voglio ricordare e ringraziare.

Dalla prima elementare sono stato "esonerato" in Religione (allora non si decideva di "non avvalersi", ci si "esonerava"). Non ho ricevuto comunione né cresima (il battesimo sì, altrimenti gli "alti lai" dei nonni sarebbero giunti sino al cielo). Sono stato cresciuto come non credente. Anzi, proprio come "ateo", se con Erri De Luca vogliamo tracciare la profonda differenza filosofica tra le due impostazioni.

Eppure, arrivato al "Cairoli", inizio a sentir parlare di un sacerdote che insegnava Religione quasi fosse un ramo della Filosofia Teoretica, lungo un tortuoso ed affascinante percorso tra Leopardi e Dostoevskji, Descartes e Sartre, Socrate, Aristotele, Tommaso e lo stesso Marx. Filo conduttore, l'idea giussaniana di "senso religioso". Questo sacerdote si chiamava Fabio Baroncini, ed era considerato braccio destro di Giussani e uno tra i più profondi ideologi - non solo lombardi - di "Comunione e Liberazione".

Decisi allora - nonostante la perplessità di mio padre - di iniziare a frequentare le lezioni di religione: il problema religioso mi appariva allora infatti - e continua ad apparirmi, con Marx e con Bloch - un tema centrale per la costruzione di un'idea di uomo e per il nodo politico-filosofico della sua liberazione. Con Don Fabio - e, fuori dalla scuola, con un mio carissimo (e più religioso) compagno di classe - ho vissuto cinque anni di dialettica in opera, di argomentazioni e contro-esempi,  di vera e propria palestra mentale: finché, alle soglie della Maturità, ho potuto riconoscere che quelle lezioni avevano rappresentato, per me, un'ulteriore occasione - insieme alle lezioni di Bruna Bianchi - per "imparare a pensare".

Sono rimasto ateo, ma con un bagaglio di logica, consapevolezza e conoscenza (anche delle astuzie dialettiche del giussanesimo) che porto ancora nel cervello, e quasi nel DNA. E lo dissi a Don Fabio: "Mi hai insegnato a produrre e trovare gli argomenti, anche per controbattere alle tue idee". Mi è parso felice di questo. Preferiva l'intelligenza critica alla - molto diffusa - adesione cieca (spesso molto diffusa tra i suoi adepti) al suo straordinario fascino.

Ho conosciuto Don Fabio in una scuola pubblica: una scuola in cui ho avuto la possibilità di confrontarmi con idee altre da quelle respirate nella mia, sia pur splendida, famiglia. Questo confronto mi ha arricchito e cambiato profondamente.

Ora ci spiegano che è questo, proprio questo, il male della scuola pubblica, il male assoluto: che la scuola pubblica può essere un sistema aperto che svela al pensiero l'esistenza di un mondo ed un respiro altro, differente e più ampio di quello voluto ed imposto dal nucleo famigliare. Meglio scegliere le istituzioni educative in termini conformi, così da garantire la replicazione puntuale e regolare dello stesso DNA culturale.

Dimenticando che, per fortuna, il nuovo nasce proprio - in biologia, nella cultura, nella politica, nel mondo - dalla mutazione. Che il mondo preme, è , non può essere chiuso fuori dalla porta.

E che, per fortuna, la mutazione è sempre pronta ad emergere: prima o poi - come hanno dimostrato le giovani piazze di questi mesi - nuove farfalle compaiono sempre, per prendersi il futuro.

Lettera pubblicata su Varesenews, anche qui

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