Il mio mestiere è nell'altrove. Come nella protesta tennistica di Snoopy: "non è out! Ho preso il bordo esterno della parte interna del bordo esterno della riga!". Ecco, il mio mestiere è proprio lì. Non del tutto out, ma - basta dare una rapida scorsa ai programmi elettorali, sostanzialmente di tutti - sicuramente alla provincia della provincia della... della provincia delle cose che contano, delle volée andate a segno, del business o della new economy. Molto al di fuori del nostro tempo. Altrove, appunto.
Ma quanto sono belli il mio mestiere ed il mio mondo. Pieni di Peter Pan, di giovani ancora non cresciuti e di quaranta-cinquanta-sessantenni che non hanno nessuna intenzione di farlo e, forse, non lo faranno mai. Un mondo che è irriducibilmente "il margine", il centro del guado. Siam partiti anni fa, ma la riva non si vede e non la stiamo neppure cercando. Forse non c'è proprio e quel che conta è stare qui nell'acqua, remata dopo remata, "tu e Lapo ed io", su barchette nelle quali è possibile illudersi per un po' che lo spettacolo o la cultura possano cambiare qualcosa, gettare molecole di ossigeno tutt'intorno, allargare il respiro di quelli che vivono, faticano, soffrono e gioiscono altrove.
Altrove?
Bellezza dell'avverbio: altrove sono io, ma - se è così- altrove sono anche gli altri. La relatività si fa significato, torto e ragione giocano a rincorrersi, ciò che conta e ciò che è inutile tracciano un disegno di Escher, un'illusione ottica, una figura ambigua, un'anatra-coniglio.
In questo mondo la cultura è figura o sfondo? Se la conoscenza - direbbe Gregory Bateson - è dovuta alla percezione (e possibile solo grazie all'esistenza) di una differenza (la polvere bianca di gesso sul nero della lavagna, la forma di un albero in contrasto con l'azzurro del cielo), allora dovunque sia collocata - sfondo o primo piano - la cultura pare necessaria alla registrazione di ciò che le è complementare e alla sua comprensione. E allora, forse, ha un senso da questo margine lavorare in quell'altrove, battersi per quell'altrove, credere che quell'altrove sia qui e ora. E che la lavagna nera possa ancora macchiarsi, qua e là, di tanti puntolini colorati - piccoli quanto di vuole - a farsi figura e trasformare ancora una volta in sfondo indifferenziato quel colore che, nel nostro tempo, aspira a divenire mono-scopio mono-cromatico del pensiero e della vita.
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