"Eccomi qua. Sono venuto a vedere lo strano effetto che fa la mia faccia nei vostri occhi".
E così, ecco fatto, ho deciso di candidarmi con Sinistra Ecologia e Libertà al consiglio comunale di Varese.
Tornare alla politica. Dopo gli anni giovanili della militanza a tempo pieno, l'impegno professionale degli ultimi venticinque anni si è sempre coniugato con la persuasione che - parafrasando Clausewitz (ma in realtà Gramsci) - il lavoro culturale possa essere considerato "la politica condotta con altri mezzi". Ne sono ancora convinto e credo di aver fatto tanta politica, nel Teatro Ragazzi, al Teatro Verdi, a Gallarate.
"Ai tempi del colera", ai nostri tempi, pare tuttavia che - con eguale efficacia persuasiva - si riproponga con forza la necessità di un'inversione: la politica può essere "la cultura condotta con altri mezzi".
Quanto più, cioè, la cultura diviene materia residuale, oggetto posto al margine del campo visivo dell'orizzonte progettuale della politica e dell'investimento pubblico tanto più - probabilmente - l'operatore culturale deve tornare ad avere la forza, la voglia e la responsabilità di intervenire direttamente in quell'universo, per tentare di orientarne e modificarne direttamente i processi.
E persisto a non credere - anche se molti con buone ragioni ne sono convinti, ed è soprattutto ad essi che occorre parlare - che questa scelta si possa tradurre o semplificare con lo "sporcarsi le mani".
La politica ha certamente a che fare con il potere, è quasi una banalità. E l'idea stessa del potere e delle sue dinamiche e contaminazioni genera - in tanti - ribrezzo, repulsione, disgusto. Come non capirne le ragioni?
E tuttavia il possibile cambiamento passa da lì, e solo da lì: e solo da lì, paradossalmente, il potere può forse essere restituito ad un'idea alta della rappresentanza e della partecipazione. Nell'idea di un potere che, nell'esercitarsi, tende a marginalizzarsi e a rendersi quanto più possibile collettivo. Insincerità? Cazzate? Illusioni di un "giovane cinquantenne"?
Può certamente essere: è proprio questo, tuttavia, il mio approccio ingenuo ma indipendente e libero all'avventura elettorale. Con Sinistra Ecologia e Libertà: la sola forza politica, oggi, in grado a mio modo di vedere di prefigurare a livello nazionale e locale orizzonti non asfittici, di ricollocare al centro dei programmi alcune ragioni fondative dell'essere di sinistra: l'uguaglianza sostanziale, i diritti, il lavoro e la difesa della sua dignità, la scuola, la salute, la casa, l'ambiente, la tutela e la promozione delle diversità, le politiche di Welfare, il primato del servizio pubblico. Verso il possibile disegno di un futuro oggi annientato nell'eterno presente della precarietà, della flessibilità, della volgarità umana e culturale.
Da qui l'idea di "un mondo dove è ancora tutto da fare" e - aggiunge Guccini, rivolgendosi alla figlia - "dove c'è ancora tutto, o quasi tutto da sbagliare". Di un mondo diverso realmente, concretamente, possibile anche attraverso la straordinaria bellezza dell'errore.
Ripartire dal primato della cultura
L'idea di un mondo dove è ancora tutto da fare, di un mondo da cambiare, si misura certamente a partire dai processi economici in atto da decenni, dalla rinnovata pervasività internazionale di un capitalismo che - anche nel nostro paese - invoca ed ottiene un ritorno alle relazioni industriali degli anni '60, da politiche a matrice neoliberista che restituiscono alle dinamiche non regolate (e spesso drogate e monopolistiche) del mercato la pressoché assoluta titolarità della costruzione del futuro, dalla cessione dei diritti di tutti (dall'acqua alla scuola) ad interessi e speculazioni private.
Ma esiste tuttavia - ed è in corso da anni con particolare virulenza e visibilità nel nostro Nord ma estendendosi ormai all'intero Paese -, parallela a questo processo e ad esso probabilmente connessa anche sul piano causale, quella che forse Pier Paolo Pasolini avrebbe chiamato una "mutazione antropologica".
Ma al di là della terminologia che può creare fraintendimenti e badando alla sostanza: quel che è venuto senza dubbio diffondendosi (o che è anche solo uscito dalla latenza) in forme per certi versi sorprendenti - e per fortuna, forse, ancora non maggioritarie nella società civile - è un profondo mutamento culturale.
Il berlusconismo ed il leghismo - in tutte le loro forme - paiono aver avuto in questi anni la funzione di agenti catalizzatori, che hanno portato alla luce, istituzionalizzato, legittimato, nobilitato o reso indifferenti alla percezione etico-civile ed al giudizio sottovalori e disvalori di cui, solo pochi anni fa, ancora un po' ci vergognavamo: dal dominio dell'apparire a quello del denaro, dall'egoismo alla furbizia, dalla disonestà all'intolleranza, dall'ingiustizia al razzismo, dall'ignoranza alla prepotenza.
A contraltare, appaiono dunque a tratti romanticherie di un tempo antico la solidarietà e l'uguaglianza, la sensibilità e persino la pietà, la cultura, la dignità e lo spessore umano, l'intelligenza, la sobrietà, l'onestà, il decoro...
Troppo facile - sebbene certamente non del tutto infondato - imputare alla sola pervasività onnipresente della televisione e della sua progressiva e drammatica deriva qualitativa questa sconcertante involuzione del "carattere nazionale". Si tratta, più probabilmente, dell'effetto congiunto di politiche condotte su più fronti (dal depauperamento della scuola ai tagli sulla ricerca e sulla cultura) - forse peraltro, almeno inizialmente, senza un disegno sebbene successivamente sempre più consapevoli e mirate - il cui comun denominatore si può sostanzialmente sintetizzare nella riduzione progressiva della coscienza critica, etica, civile, politica e culturale della cittadinanza.
In un sostanziale processo di complessiva analfabetizzazione civica, il cui effetto è la scomparsa degli anticorpi impliciti nella diffusione della cultura, dell'istruzione, della coscienza critica, della comprensione, del pensiero e della bellezza. In una parola: nella dissoluzione del civis e della polis - soggetto e luogo della condivisione consapevole - per la loro trasformazione in obiettivi e luoghi della manipolazione, della propaganda e della costruzione del consenso.
Da qui l'idea del primato della cultura - in senso ampio - come condizione per quell'idea di un mondo diverso. Senza una politica pubblica volta, con radicalità, ad una possibile ricostruzione di quel tessuto di sensibilità, conoscenza e di quel repertorio di strumenti di comprensione del mondo l'idea di cambiamento rimane poco più che una petizione di principio. Il cambiamento - se sarà possibile, quando sarà possibile - potrà muovere solo da una rinnovata, persistente, sistematica cura delle teste e delle anime, attraverso la proliferazione (e la difesa, la tutela, il finanziamento anche a discapito della cura dei tombini, della viabilità, dell'illuminazione stradale) di occasioni stabili, continuative ed accessibili di arricchimento culturale multidimensionale per l'intera cittadinanza, a partire dai bambini e dall'attenzione privilegiata delle politiche pubbliche loro indirizzate.
In questo senso - con Dostoevskji - la bellezza salverà il mondo.
Nessun commento:
Posta un commento